psicologia

Salute 2020: un anno nero per la salute mentale

La pandemia mina la salute mentale di tutti, ma l’impatto è peggiore nei giovani, meno vulnerabili al virus e più esposti alle sue conseguenze future.

In un anno che ha messo alla prova la salute mentale dell’umanità come mai era accaduto nella storia recente, a pagare il prezzo più alto sulla tenuta psicologica sono i più giovani. In base al primo rapporto annuale del Mental Health Million project, un’iniziativa mirata a misurare il benessere mentale globale per individuare i problemi più diffusi e guidare gli interventi di salute pubblica, il 2020 ha portato un calo significativo e diffuso della salute mentale, e il crollo più evidente si è verificato nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni.

COME TI SENTI, DAVVERO? Il rapporto si basa sui dati raccolti in questionari anonimi di autovalutazione online che misurano le facoltà cognitive e di regolazione delle emozioni, la percezione del sé, la qualità delle relazioni con gli altri e la connessione tra corpo e mente. Tra la fine del 2019 e l’intero 2020 hanno risposto 49.000 persone di otto Paesi di lingua inglese (USA, Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, India, Singapore).

 

PIÙ GIOVANI E FRAGILI. I ricercatori hanno utilizzato una scala da -100 a 200 per assegnare una sorta di “punteggio” (che hanno chiamato Mental Health Quotient, MHQ) alla salute mentale globale e a quella delle varie categorie di persone che hanno partecipato al test: il MHQ globale del 2020 è di 66, in calo dell’8% rispetto al 2019. Ma questa non è una sorpresa.

Colpisce amaramente, piuttosto, che nei giovani tra i 18 e i 24 anni il MHQ sia di 86 punti più basso che negli over 65, uno “scarto” del 27% tra i due gruppi di età. Lo stato della salute mentale evidenziato dai test cala sistematicamente con il calare dell’età. In particolare i giovani adulti mostrano più spesso livelli molto compromessi di fiducia nelle proprie capacità, difficoltà di concentrazione e di gestione della tristezza e dello stress, pensieri sgraditi e ossessivi.

UN PASSAGGIO DIFFICILE. A parte la pandemia, tra le possibili cause di questa aumentata vulnerabilità potrebbero esserci le pressioni accademiche e lavorative che si ripercuotono su una carenza cronica di sonno, il fatto che a quell’età si debbano prendere importanti decisioni su istruzione, carriera e relazioni, e il tutto con uno sviluppo cerebrale ancora incompleto (fino alla metà del decennio dei vent’anni). Soprattutto, pesano le condizioni incerte in cui viviamo: prima ancora che ci si mettesse la covid, era la crisi economica a erodere speranze e prospettive.

DIRITTI NEGATI. La salute mentale è anche strettamente legata alla questione di genere: il benessere psicologico è risultato statisticamente più elevato nei maschi, e le differenze tra sessi si ampliano nelle fasce più giovani di popolazione. Le giovani donne accusano una fatica psicologica maggiore rispetto ai giovani uomini, una fotografia fedele delle disuguaglianze di genere rese ancora più profonde dalla pandemia. In tutto il mondo sono le donne a sopportare l’impatto più duro dei lockdown, costrette a dividersi tra lavoro interrotto e cura dei figli, senza scelta e senza supporto – e questo, quando un lavoro c’è ancora.

Entrambi i gruppi se la cavano comunque meglio rispetto alle persone di identità di genere non binaria, che riportano peggiori condizioni peggiori di salute mentale (con un valore il 17% più basso di maschi e femmine combinati), un più elevato rischio clinico, più frequenti pensieri suicidari. Le disuguaglianze nel rispetto dei diritti di base, a cominciare da quello del rispetto della propria identità, sono state acuite dalla crisi innescata dalla CoViD-19.

EFFETTO LOCKDOWN. Sonno, interazioni sociali ed esercizio fisico contano più di quanto si pensi. I valori del Mental Health Quotient sono risultati più bassi di 82 punti in chi di rado dorme serenamente, più bassi di 66 punti in chi prima della pandemia si incrontrava di rado con amici e familiari e inferiori di 46 punti in chi non fa mai attività fisica, rispetto a chi fa esercizio per almeno 30 minuti al giorno. Tutte attività divenute più difficili o impossibili con le chiusure imposta dalla covid.

Il 57% degli intervistati ha riferito di soffrire delle conseguenze sanitarie, economiche e sociali della pandemia. L’impatto peggiore si nota sulle persone (il 2% di chi ha risposto) che a causa della covid non hanno potuto accedere alle cure sanitarie di cui avrebbero avuto urgente bisogno, e il secondo impatto peggiore, in termini di salute mentale, si osserva sull’1,4% degli intervistati che fatica ad arrivare alla fine del mese.

L’isolamento sociale ha fatto calare di 20 punti il punteggio del MQH in tutti i gruppi intervistati, ma rispetto agli altri fattori di rischio pesa di più sui giovani tra i 18 e i 24 anni che sugli over 65.

INVECCHIANDO SI IMPARA. Come spiegato in un articolo sul New York Times, Il fatto che nei test psicologici gli over 50 tendano ad esprimere più emozioni positive che emozioni negative rispetto ai giovani adulti, indipendentemente dal reddito e dall’istruzione ricevuta, è un fenomeno noto da tempo negli studi psicologici. Può essere che con l’età si sviluppino maggiori capacità di far fronte alle situazioni difficili? O che semplicemente si tenda a ridurre le circostanze rischiose e stressanti, che potrebbero generare emozioni sgradevoli? La pandemia, con il suo carico di stress prolungato, ha dato modo di indagare su queste differenze.

Uno studio condotto dall’Università di Stanford nell’aprile 2020, nelle settimane in cui la covid presentava al mondo il suo vero volto, ha trovato che a parità di stress prolungato e di percezione del rischio, l’età avanzata era associata a un maggiore benessere emotivo. A conclusioni simili è arrivato un altro studio dell’Università della British Columbia (Canada) condotto nei primi due mesi di pandemia: la ricerca ha mostrato che i più in là con gli anni, benché più a rischio di gravi conseguenze da covid, erano meno preoccupati dalla malattia, più equilibrati dal punto di vista emotivo e con una maggiore positività nella vita di tutti i giorni.

MENO INCOMBENZE E ASPETTATIVE PIÙ REALISTICHE. Da un punto di vista pratico, le persone più avanti con gli anni e con maggiori risorse economiche potrebbero essere state più in grado di chiedere aiuto per consegne, spesa e incombenze domestiche, e di farlo senza un lavoro a cui rispondere o figli piccoli da crescere. Non a caso, uno studio su pandemia e salute mentale condotto su 226 giovani e anziani nel Bronx, una delle aree meno servite di New York, dove i nonni condividono spesso stress e incombenze della gestione familiare quasi come co-genitori, non ha rilevato particolari differenze nel benessere emotivo tra generazioni.

Un altro fattore più strettamente psicologico potrebbe invece essere che, da giovani, si è disposti a prendersi rischi, acquisire abilità e giocare carte per preparare il proprio futuro (fare un lavoro poco appagante per pochi soldi, tollerare datori di lavoro o affittuari terribili), mentre dopo la mezza età, con un orizzonte che mano a mano si ridimensiona, si inizia a indugiare in attività che tendono più all’autogratificazione che al doversi migliorare. Ci si accetta per come si è e non ci si agita per come si potrebbe diventare.

Di questo divario psicologico andrà tenuto conto quando raccoglieremo i cocci del disastro sociale della pandemia, e chiederemo a giovani – privati della scuola, di lavori stabili, di sostegno psicologico, degli amici, dello sport, dei viaggi, in coda per i vaccini, e spesso colpevolizzati per la diffusione del virus – di stare di nuovo bene.

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