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Urologia

Prostata: il PSA nella pratica urologica . Dr. Mauro Tasso

10 Dicembre, 2020 /

Prostata: il PSA nella pratica urologica

Dott. Mauro TASSO

urologo pinerolo

Il PSA, Antigene Prostatico Specifico, ha un ruolo fondamentale nell’approccio al paziente urologico affetto da sintomi del basso apparato urinario.
Discernere tra un aumento del suo valore per motivi di ipertrofia prostatica benigna, infiammazione in atto o pregressa, sospetto tumore prostatico, oppure risultato di terapia mediche o chirurgiche instaurate è un punto fermo della visita urologica.
Il suo ruolo come marcatore di malattia tumorale prostatica è stato in questi anni radicalmente ridimensionato.
Troppi sono i fattori che possono favorirne l’incremento, anche in assenza di sintomi di flogosi evidente della ghiandola essendo un marker d’organo e non tumore specifico.
L’unico marker prostatico adottato dagli anni ’80 ha rappresentato per gli urologi il modo di valutare la “salute” della prostata nei pazienti di età compresa tra 45 e 75 anni.
Senza questo marcatore certamente la storia del tumore prostatico avrebbe avuto un decorso differente.
Molti pazienti hanno subito interventi chirurgici radicali o radioterapia e molti di loro, se affetti da malattia localizzata di rischio basso o intermedio sono ora liberi da malattia.
Con il passare degli anni ci si è resi conto che in una buona percentuale dei casi la malattia avrebbe potuto essere monitorata in modo diverso, meno aggressivo, con minori effetti indesiderati sulla qualità di vita del paziente.
Ora con l’avvento di tecniche chirurgiche meno invasive, precise e conservative della continenza urinaria e della vita sessuale (video Laparoscopia HD-3D, Robotica) anche le tecniche diagnostiche hanno subito una evoluzione e una precisione tale da fare impallidire il ricordo della cosiddetta “biopsia prostatica” che si eseguiva solo alcuni anni fa.
Nuovi markers tumorali validati da accurati studi arriveranno in futuro.
La diagnostica attualmente si avvale della visita urologica da parte di uno specialista esperto, con la tradizionale indispensabile esplorazione rettale della ghiandola prostatica, dosaggio del PsaR nel sangue eseguito in centri affidabili e in assenza di sintomi delle basse vie urinarie e recenti rapporti sessuali, ecografia all’addome completo con valutazione del residuo post minzionale.
Lo specialista deciderà se procedere con esami di secondo livello come la ecografia trans-rettale prostatica e la Risonanza Magnetica con m.d.c. Paramagnetico della prostata ed eventuale mapping prostatico con metodica “Fusion” mini invasiva della/e zone tumorali sospette evidenziate dalla RM.
Tale procedura selettiva e mirata è in grado di ridurre gli effetti collaterali della “vecchia biopsia prostatica” eseguita su tutta la ghiandola a 18 -24 prelievi.
Questo percorso diagnostico ci ha consentito in centri selezionati di ridurre il numero di pazienti da sottoporre al cosiddetto mapping prostatico riducendo tempi di degenza, costi ed effetti collaterali.
Molti erano i cosiddetti falsi positivi, cioè pazienti non malati, sottoposti a prelievi multipli, che risultavano negativi all’esame istologico.
Col passare del tempo, un ulteriore incremento del valore del Psa portava questi pazienti a eseguire nuovi mapping prostatici con numero elevato di biopsie allo scopo di ricercare tumori piccoli, forse silenti, sfuggiti alla procedura precedente.
L’avvento della Risonanza Magnetica di ultima generazione, con ausili di mezzi di contrasto Paramagnetici pertinenti, ha facilitato la scelta dei pazienti da sottoporre a “mapping Prostatico” (82%MP+ con MNR +).
Questi moderni ausili diagnostici hanno facilitato la diagnosi precoce di malattie tumorali di piccole dimensioni con incrementi di guarigione a lungo termine, elevata qualità di vita con minori effetti collaterali, soprattutto se ottenuti con interventi chirurgici con tecniche mini invasive.
In base all’età anagrafica del paziente, la tipologia istologica riscontrata nel mapping eseguito, si valuta un ampio ventaglio di terapie che vengono proposte, illustrate e concordate con il paziente.
Altra procedura nei casi selezionati è la cosiddetta “Sorveglianza Attiva” o “Attesa Vigile”, nei pazienti che per vari motivi non sono eleggibili a terapie più invasive chirurgiche o radioterapia.
Tale opzione deve essere motivata da molti fattori, spiegata e accettata chiaramente dal paziente, in quanto comporta un monitoraggio assiduo, garantendo al tempo stesso una elevata qualità di vita, simile al paziente sano.
Un ulteriore progresso verrà dato a breve dalla Genetica che ha già individuato i geni dei pazienti predisposti a sviluppare malattia, con o senza familiarità, ma soprattutto i pazienti affetti da malattia da sottoporre a intervento rispetto a quelli da monitorare nel tempo.

Dott. Mauro TASSO
Specialista in Urologia e Oncologia Clinica

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